Diritti LGBT in Cina: a che punto siamo?

Di diritti LGBT se ne parla prevalentemente in Europa, ma come è messa la situazione in estremo Oriente? In Cina, per esempio, a che punto siamo con il riconoscimento dei diritti civili alle persone omosessuali e transessuali? A chiederselo e a darsi qualche risposta è Gabriele Battaglia, giornalista della testata Internazionale.

Nel luglio 2016 in Cina è entrato in vigore un regolamento che ha imposto alle piattaforme video come Youku e Tencent di rimuovere ogni tipo di contenuto a tema LGBT. Alla luce di ciò, Battaglia è tornato in Cina un anno e mezzo dopo per verificare se qualcosa sia cambiato o se sia rimasto tutto quanto fermo a quello stadio là. Duan Shuai, che è la principale personalità della comunità LGBT di Pechino, ha spiegato che quella norma tanto rigida quanto discutibile era stata varata con ogni probabilità in vista del Congresso del Partito Comunista, tenutosi per l’appunto a ottobre 2017. In sostanza il governo potrebbe aver preso una decisione tanto ferrea per “ripulire” la rete e, secondo quelle che sono le sue convinzioni, la sua stessa immagine.

Nonostante questi reiterati tentativi di mettere a tacere le istanze LGBT, in Cina, e più nello specifico a Pechino, gli attivisti continuano a lavorare senza sosta. Anzi, hanno persino dato vita a un centro che svolge tutte le sue attività alla luce del sole e che impiega sette attivisti (regolarmente stipendiati), nonché decine e decine di volontari. Insomma, al netto della strada intrapresa dalle istituzioni, a Pechino la comunità LGBT è più viva (e in salute) che mai.

Il fatto è che questo centro, più che essere tale, è in realtà un’azienda vera e propria: dal momento in cui le organizzazioni non governative cinesi sono sottoposte a un controllo molto rigido da parte del governo, gli attivisti LGBT si sono dovuti dare un altro volto, quello di un’azienda, per poter operare con maggiore tranquillità.

Ed è un’azienda, questa, che offre prestazioni a tutti gli effetti; prestazioni rivolte al mercato locale, ma che oltre al rapporto economico puntano ad avere un lato prettamente filantropico: si va dal supporto psicologico alle proiezioni di film, fino a eventi di raccolta fondi, ricerche condotte con la collaborazione delle università e così via. Inoltre il Beijing LGBT Center è impegnato anche in iniziative etiche e sociali, come la causa intentata contro una clinica di recupero degli omosessuali sta a dimostrare.

Questo nucleo LGBT non ha alcun contatto col governo: “Cerchiamo di influenzarne le decisioni politiche del governo, spingendolo per esempio ad aprire al matrimonio egualitario. Ma in linea di massima il governo ha l’unica preoccupazione di controllarci. In Cina le cose funzionano in questo modo”, spiega un attivista. Insomma, a livello di diritti civili ci sono ben poche novità rispetto agli anni passati: in Cina continua a permanere un forte tabù sul tema, tanto è vero che nel Paese solo il 5% delle persone LGBT ha il coraggio di fare coming out.

La speranza è che le cose possano cambiare grazie al cambio generazionale che porta alla luce giovani più istruiti e università via via più aperte a iniziative di sensibilizzazione. Ma la strada è impervia.

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